INTERVENTI su Pier Giorgio Perotto

 

PC, UNA STORIA CHE INIZIO' IN ITALIA
di Claudia Bongiardina (CTI Liguria) 

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Questo articolo è apparso su NOTIZIARIO FIDA INFORM numero 24 marzo 2002

 Nel 2001 si è celebrato il ventennale della nascita del primo Personal Computer avvenuta nell’agosto del 1981 a New York. Tutti i principali giornali hanno dedicato ampio spazio a questo evento, ma pochi forse sanno che a tracciare la strada è stato, negli anni 60, un italiano geniale, Pier Giorgio Perotto.

La nostra storia inizia nel l964 in Italia. Un giovane ingegnere dell’Olivetti, docente al Politecnico di Torino, da il via a una vera rivoluzione informatica inventando il progenitore dell’attuale PC: la P101.

Come prende vita, chiediamo o Pier Giorgio Perotto, e si evolve la storia deI primo ”computer personale”, la Programma 101 soprannominata familiarmente la Perottina?

La realizzazione della P101 è certamente il risultato più notevole dell’iniziativa di Adriano Olivetti di creare in Italia, ancora negli anni 50, un laboratorio di ricerche elettroniche, dedicato allo studio dei computer. II laboratorio ebbe la sua prima sede a Pisa, e io feci parte del piccolo gruppo di ricercatori che, affascinati dell’idea di lavorare in un settore ricco di prospettive di grande innovazione, cominciarono a progettare le prime macchine. II progetto principale del laboratorio di Pisa fu I’Elea 9001, che apparteneva alla categoria dei mainframe ossia dei grandi computer di centro, non potendosi con le tecnologie di allora realizzare prodotti adatti all’ufficio.

lo pero mi dedicai a esplorare alcune possibili nuove vie, come quelle di apparecchiature elettroniche che collegassero periferia e centro (da questo filone nacque il primo convertitore a nastro perforato – schede, che consentiva I’ingresso automatico dei dati nel mainframe e fu il primo prodotto elettronico realizzato da Olivetti), come pure la sia pur lontana possibilità di realizzare computer da tavolo, piccoli e di basso costo. Ero particolarmente attratto da queste ricerche, perché subito dopo la laurea avevo lavorato come ricercatore al Politecnico di Torino ed ero rimasto colpito dalla mancanza di strumenti di calcolo di uso personale che affliggeva i ricercatori, per i quali I’accesso al lontano mainframe era complicato o quasi impossibile. Purtroppo allora gli strumenti utilizzabili erano solo le calcolatrici meccaniche senza programma, che ci facevano lavorare con I’angoscia continua di aver commesso degli errori e con una fatica mentale oggi inimmaginabile.

Quando lei ha iniziato a lavorare alla P101, era già avvenuta la cessione, da parte dell’ Olivetti, della divisione elettronica a General Eletric. Fu è chiaro, con questa manovra, da parte del management, che I’elettronica, considerata troppo avveniristica, facesse parte del core business della società. Quali fatti spinsero I’azienda a muoversi in questa direzione ?

Purtroppo I’iniziativa elettronica di Adriano venne messa in crisi dalla prematura morte del suo artefice avvenuta nel 1960, che determinò in azienda un clima di grande incertezza, nel quale nessuno osava più prendere decisioni. Bisogna tenere presente che I’iniziativa elettronica di Adriano era vista con perplessità, per non dire con ostilità, dentro e fuori Olivetti. Disgraziatamente, alla morte di Adriano si aggiunse una pesante crisi economica, con la quale si concludeva I’epoca del cosiddetto ”miracolo economico italiano” e anche Olivetti ne risentì, obbligandola a ricercare nuovi finanziatori disposti a intervenire per il salvataggio della società.

Si formò un gruppo di intervento, capitanato da Fiat e Mediobanca (già allora con I’intramontabile Cuccia), che però non nascose la sua ostilità verso I’iniziativa elettronica e i relativi investimenti.

Ricordo una frase di Valletta che in un Consiglio di Amministrazione disse: ”La società di Ivrea e strutturalmente solida e potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende pero una minaccia, un neo da estirpare, I’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessun’azienda italiana può permettersi”.

Facciamo un passo indietro per conoscere meglio I’ambiente dove hanno preso vita e si sono sviluppate queste idee avveniristiche. Adriano Olivetti, presidente dell’omonima azienda fino al 1960, anno della sua morte, è stato descritto come un uomo dotato di carisma e doti manageriali tali da guidare uno multinazionale italiano con gli strumenti propri di uno piccolo azienda ottocentesca.

Era anche un uomo intraprendente e lungimirante che aveva capito l’importanza dell’introduzione dell’elettronica nell’azienda. Quanto ha attinto alla figura di Adriano Olivetti?

Adriano Olivetti era un uomo con una molteplicità di interessi che andavano dall’urbanistica, alla sociologia, al disegno industriale, all’architettura. Inoltre la sua visione dell’impresa era quella di una organizzazione proiettata verso fini che trascendevano il profitto, ma che privilegiavano I’elevazione sociale e culturale dei sui dipendenti e I’impegno a migliorare I’ambiente nel quale I’impresa operava. Per lui I’innovazione era una delle condizioni chiave per lo sviluppo e credo che in questo spirito si collocasse la sua azione di precursore verso I’elettronica e I’informatica (il termine allora non era ancora stato inventato!). Io sono convinto che Adriano vedesse nell’elettronica una sorta di urbanistica del mondo immateriale dell’informazione, come scienza regolatrice e apportatrice di ordine, cosi come I’urbanistica fisica lo e nel progetto delle città.

Ma importante è rilevare che, mentre nell’establishment industriale di allora, Adriano veniva visto quasi come un visionario, in realtà egli fu un grande imprenditore che proiettò Olivetti sui mercati internazionali, facendone, a mio avviso, una delle prime imprese globali ante litteram. II suo spirito inoltre permeò I’intera azienda, tanto che dopo la sua scomparsa i suoi valori rimasero in Olivetti, a dispetto della miopia di coloro che vennero dopo di lui. Anzi, io sono convinto che, proprio in virtù del permanere diffuso di tali valori, io potei avere, nel realizzare la P101, il supporto informale e sotterraneo di tanti collaboratori in azienda, malgrado un indirizzo strategico opposto del nuovo vertice olivettiano.

Pensi allo sgomento con cui vedemmo comparire, nel 1964, proprio alla vigilia della rivoluzione microelettronica, che di lì a qualche anno avrebbe rivoluzionato il mondo intero, sulla rivista Business Week, una intervista del dottor Peccei, allora amministratore delegato di Olivetti, nella quale si diceva: ”Olivetti troverà nella meccanica le chiavi del suo futuro successo”!.

Che aria si respirava in quel periodo a lvrea, che basava le sue prospettive di sviluppo su Olivetti e viveva in osmosi con I’azienda stessa? Come poté lei realizzare la P101 in un’azienda che aveva rinunciato all’elettronica? Quali furono le condizioni di successo che caratterizzarono questo drammatica vicenda?

Ivrea era ed e tuttora una specie di ”Company Town”, fortemente condizionata dalle sorti di Olivetti. lo pero iniziai il mio lavoro sulla P101 a Milano in ”territorio”, possiamo dire, General Eletric, essendo appena maturata I’infausta cessione di tutta la divisione elettronica (di cui io facevo parte), a questa azienda americana, che era da poco entrata in forze nei settore dei computer, con I’obiettivo supremo di fare concorrenza a IBIVI, leader del mercato.

Ma a causa di alcuni contrasti sorti con gli americani, che chiaramente non erano per nulla interessati alle mie ricerche ma che vedevano nella divisione elettronica di Olivetti una pura base commerciate per il mercato italiano, io pur restando a Milano venni restituito a Olivetti, diventando, con il mio piccolissimo gruppo di collaboratori, I’unico presidio di Olivetti dedicato a occuparsi di nuove tecnologie. II formale rientro in Olivetti fu fondamentale per il successo della P101, perché io, pur lavorando quasi in clandestinità e nel totale disinteresse del nuovo management (tutto proteso a realizzare, incredibile a dirsi, il rientro nella meccanica), potei valermi di molte risorse pregiate esistenti in azienda che mi consentirono la concreta realizzazione della ”Perottina”. Tralasciando il racconto di tutte le drammatiche vicende di tale periodo (che peraltro ho raccontato nel libro ”Programma 101” edito da Sperling & Kupfer), si può dire che lo show-down avvenne in occasione della grande fiera dei prodotti per ufficio di New York dell’ottobre 1965, nella quale Olivetti aveva deciso di presentare in pompa magna tutti i nuovi prodotti meccanici e, in un angolino, anche la P101, per dimostrare, pur senza molta convinzione, che qualche ricerca innovativa continuava a essere fatta. Fu in quell’occasione che il pubblico, la stampa americana e tutti gli opinion leader decretarono il successo del ”first desk top computer of the world” e I’insuccesso di quelli meccanici. Con la produzione della P101, che venne venduta in tutto il mondo, Olivetti trovò il coraggio e (a forza di attuare il suo rientro e la sua riconversione verso I’elettronica, purtroppo con un ritardo di qualche anno. lo potei esserne testimone diretto in quanto, dopo il licenziamento del gruppo di intervento e la nomina di un nuovo amministratore delegato, venni nominato direttore generale della Ricerca & Sviluppo della società.

Sembra che con l’avvento e l’evoluzione corrente delI’informatica sia stata raggiunta la frontiera dell’inventabile, inteso come limite alla concezione e alla fantasia più sfrenata dell’uomo. Pensa che ci sia invece ancora spazio per qualcosa di veramente rivoluzionario e inimmaginabile?

Sono del parere che effettivamente le tecnologie che stanno alla base dell’informatica abbiano subito negli ultimi anni uno sviluppo che mai si verificò prima d’ora e che non è avvenuto in nessun altro settore tecnologico. Però la loro traduzione in applicazioni, soprattutto nei settori connessi alle reti e ai relativi servizi fa pensare che molta strada sia ancora aperta davanti a noi. Dobbiamo tenere conto del fatto che negli ultimi anni le potenzialità intrinseche delle tecnologie ICT non sono solo state rivolte a far crescere quantitativamente le prestazioni dei prodotti e dei servizi, ma, molto opportunamente, a rendere più semplici, facili e piacevoli i rapporti tra I’uomo e le macchine (si pensi all’interfaccia grafica che è ormai una specie di linguaggio universale usato da tutti). E tutti sappiamo che semplicità e piacevolezza hanno un costo altissimo in termini di complessità interna, nascosta. Ebbene in questo campo non vedo limiti all’innovazione possibile, almeno fino a quando non potremo utilizzare Internet e fare, ad esempio, acquisti sul Web con la stessa semplicità e naturalezza con le quali la massaia frequenta un supermercato o guarda la TV.

Lei ho avuto un percorso di carriera eterogeneo. E’ stato un geniale inventore, e tuttora docente universitario, si occupo attualmente di consulenza direzionale e informatica, nonché di formazione; ha scritto numerosi libri. Quello che sembra accomunare tutte queste attività è la creatività. Cosa le ha apportato dal punto di vista personale e come è stata percepita dalle persone che l’hanno conosciuta?

L’invenzione della Programma 101 e la successiva opera di trasformazione della vecchia Olivetti, tutta meccanica, in un’azienda di elettronica e di sistemi mi ha messo di fronte a formidabili problemi umani e organizzativi che ho dovuto risolvere, in parallelo con quelli strettamente tecnici. Ho pensato che poteva essere utile mettere a disposizione di tutti queste esperienze, documentarle, e trarne soluzioni che potessero essere utilizzate più in generale dalle aziende che devono affrontare profondi problemi di trasformazione e di innovazione.

Mi sono convinto anche che le innovazioni tecnologiche che costituiscono un break-trough, come la P101, sono rare, ma non meno importanti sono le microinnovazioni diffuse che un’azienda vitale deve favorire da parte di tutti i suoi dipendenti e che riguardano praticamente qualsiasi settore di ogni azienda. La nostra società, Finsa Consulting, ha potuto fare tesoro di tali concetti, vissuti e sofferti con esperienze dirette, e farne la base concettuale e metodologica della sua offerta di formazione e di consulenza direzionale. Quasi tutti i libri che ho scritto hanno un filo conduttore comune che può essere espresso nella parola chiave ”innovazione”.

Parliamo un po’ dei suoi libri. Lei ne ho scritti numerosi. Ne spiccano alcuni dedicati alla gestione aziendale e ai suoi manager. Uso il termine spiccano perché ha saputo trattare argomenti generalmente specifici e ammettiamolo, anche un po’ seriosi, con leggerezza di scritturo e un po’ di ironia, evidenziando talvolta i paradossi e il grottesco di uno cultura del management, nella fattispecie dello realtà italiana, mo non solo. Ritiene che questi suoi libri debbano essere un monito semiserio per gli addetti ai lavori?

Penso che lei si riferisca al mio ultimo libro, intitolato: ”Come fare carriera nelle aziende delI’era digitale” (Angeli editore, 2001), nel quale il sottotitolo ”Manuale scandaloso di management” rende bene I’idea della provocazione e delI’ironia. Infatti, ho notato che quasi tutta la lettura manageriale di ultima generazione, soprattutto americana, sia ormai assimilabile a una manualistica di psicologia applicata per non dire di psichiatria, nella quale sembra che il successo di un’impresa dipenda quasi esclusivamente dalle buone maniere dei manager e dai loro comportamenti interpersonali. C’e ovviamente del vero in tutto questo e ne fa fede I’importanza della motivazione delle risorse umane aziendali (alle quali ovviamente anche noi dedichiamo la massima attenzione), pero est modus in rebus e non si può presentare queste ricette con la paludata seriosità di leggi o teorie scientifiche; tanto vale prendersi un pò in giro, sicuri di poter ottenere più attenzione e, forse, anche risultati migliori e più profondi nei processi di cambiamento. Uno dei miei concetti di fondo nella formazione e che si impara di più divertendosi che non annoiandosi disperatamente!

Vorrei citare un altro mio libro dal titolo abbastanza significativo: ”Cambiare pelle per salvare la pelle” (Angeli Editore), perché nasce dal frutto di esperienze vissute in Olivetti e in molte altre aziende hightech che mi hanno convinto dell’importanza per un manager di saper capire e disegnare gli scenari nei quali un’azienda opera, non solo al fine di individuare la direzione verso la quale si sta andando, ma soprattutto per costruire una strategia che in qualche misura sappia anticipare gli eventi. Nel clima instabile e turbolento che si profila davanti a noi penso che possa essere una lettura utile.

Identikit della P101

La Olivetti P101, nacque nel 1965 e, nonostante nella forma assomigliasse più a una calcolatrice che a un PC dei giorni nostri, del personal aveva molte delle caratteristiche. Prima di tutte quella di essere uno strumento personale di elaborazione dati, dotato di un programma che poteva essere registrato in memoria; un supporto per l’introduzione e l’uscita dei dati con schede magnetiche intercambiabili; una veloce e compatta stampante a tamburo da 30 colonne e un semplice sistema di progettazione con un linguaggio facile da apprendere in poche ore anche da un utente non specializzato; inoltre era fornita di una libreria di programmi di tipo matematico, statistico, finanziario.. La P101 era in grado di fare velocemente le operazioni aritmetiche elementari, in più poteva essere programmata dall’utente con un massimo di 120 istruzioni, scelte fra 15 funzioni disponibili (le aritmetiche gia citate, di input e di output, di salto). Come supporto di memorizzazione, si fece ricorso a schede cartacee con banda magnetica, capaci di memorizzare fino a 250 caratteri.

Il Forum del ricordo di Gioiella Campelli

Si era pensato che questa storia avrebbe potuto offrire spunti per raccogliere ricordi ed esperienze di coloro che usarono personalmente o adottarono all’interno delle loro aziende la Programma 101, come pure per permettere scambi di opinioni sull’informatica di ieri, di oggi e del futuro. Si era quindi deciso di aprire un forum di discussione nel sito di FIDA Inform www.fidainform.org dal titolo: Dalla Programma 101 a ... di cui Pier Giorgio Perotto avrebbe dovuto essere il moderatore. Ciò, come tutti sanno, non sarà più possibile perché Pier Giorgio Perotto è venuto a mancare lo scorso gennaio, all’età di 71 anni. Ci dispiace infinitamente pubblicare questa sua intervista postuma, avremmo preferito che lui la potesse leggere e riscuotere quindi tanti dei meritati plausi che gli sono venuti a mancare quando sarebbe stato il momento giusto. Fa un certo effetto ”sentirlo” rispondere alle nostre domande, ”vederlo” in queste pagine e sapere che non c’e più, e stato infatti uno di quegli uomini che sembra non dovrebbero morire mai e di cui comunque si continuerà a sentire la presenza nella storia della tecnologia, dell’evoluzione, dell’innovazione

che lui amava cosi tanto e che continuerà a perpetrarsi in un futuro che correra continuamente a rinnovarsi, a reinventarsi, a vivere e a rivivere nelle sue creazioni. Ricordiamo che nel 1991 Perotto ricevette il premio internazionale ”Leonardo da Vinci” per la Programma 101 e per un’altra creazione, la Et101, una macchina elettronica che proponeva un sistema gia evoluto di scrittura in video. Definito uomo eclettico, anticonformista, poco adatto a ubbidire, ricordiamo con infinito piacere anche la sua vena ironica e il suo sottile sarcasmo in quel dirompente ”Manuale scandaloso di management” che avevamo recensito a pag. 54 del n. 21 di Fida. Un libro che svela anche l’amore di Perotto per la verità, sempre e comunque, anche e soprattutto quando ci si deve opporre ai tabù e alle ipocrisie della oltretutto noiosissima letteratura manageriale, e della lotta ”di classe” fra il potere delle persone e il potere delle strutture, da cui non potrà che uscire vittorioso ”il lavoratore della conoscenza, l’uomo del sapere”. Disegnando questo sogno se ne e andato Perotto e il suo sorriso vuol dirci che non sara un’utopia.

Io lo ricordo così di Claudia Bongiardina

La genialità, l’estrosità, la profonda conoscenza tecnica la creatività, la vasta cultura, la carica umana. Questi sono alcuni degli elementi che caratterizzavano la personalità composita di Pier Giorgio Perotto, scomparso lo scorso 23 Gennaio. A me piace ricordarlo anche con un’espressione con la quale l’ho sentito definire una volta: ”Pittore dell’Informatica”. Non conoscevo Perotto, prima del mio ingresso nel Club CTI Liguria, al quale il suo nome si lega strettamente, e di cui è stato presidente fino al Maggio del 2001. E non conoscevo nemmeno la storia entusiasmante della pionieristica nascita della P101, la sua ”Perottina”, ne tantomeno quella dell’uomo. Se prima di questo incontro mi avessero chiesto come mi immaginavo potesse apparire un inventore, magari proprio quello del personal computer, sicuramente l’immagine che avrei delineato, non sarebbe potuto essere più antitetica del ritratto del poliedrico e geniale ingegnere di Ivrea. Nell’Ottobre del 2001, in occasione dei festeggiamenti per il ventennale dell’invenzione del primo Personal Computer, feci un’intervista, per questa rivista, a Pier Giorgio Perotto, che per motivi di spazio non fu possibile pubblicare nello scorso numero. La prima cosa che mi colpì, quando ci incontrammo e quindi ebbi nodo di restare a lungo in sua compagnia, fu il suo sguardo. Raramente ho visto uno sguardo così curioso del mondo ed in grado di comunicare istantaneamente la forte carica interiore che dimorava in lui. immagino sia stato il desiderio di appagare questa curiosità, che mai si è estinta, che lo ha portato a percorrere le tante strade che ne hanno fatto una persona unica. L’Italia del passato si è sempre contraddistinta per la grande genialità. Quella dei vari Leonardo da Vinci, Cristoforo Colombo, per fare un esempio, personaggi in grado di sfidare l’incredulità e la cecità di ogni periodo storico. Oggigiorno è più forte la paura, come spesso amava ricordare lo stesso Perotto, quella di osare, di correre dei rischi, che è proprio ciò che mette un freno alla creatività. Egli ha saputo invece proporsi come un moderno visionario, in grado di saper interpretare il futuro e le sue esigenze, un coraggioso capace di difendere le proprie idee senza condizionamenti di sorta, sapendo dosare tecnicismo ed estrosità. L’esempio del successo ottenuto con la P101 prima, e con tutte le altre molteplici attività poi, lo rende un modello da cui i creativi di oggi e di domani dovrebbero prendere ispirazione. Un successo raggiunto e gestito nel modo che gli era più congeniale, da persona schiva, dote oramai rara in una società in cui l’apparire e l’esibirsi sono dei must ritenuti necessari per decretare il successo personale. Per la caratteristica del suo carattere, il riconoscimento del suo grande valore non è stato forse molto eclatante, ma sicuramente più vero e duraturo. E a quello decretato dalle voci più autorevoli si e’ aggiunto quello fatto della stima, dell’apprezzamento, dell’affetto e delle dimostrazioni di amicizia da parte di tutti colori che lo hanno conosciuto e hanno avuto modo di apprezzare il suo lavoro.